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Il frate vescovo


Il primo di sette

Papà Andrea a mamma Maria educano i loro sette figli, il primo dei quali è Vittorio – il futuro padre Biagio - secondo la tradizione ricevuta dai loro genitori a Fiuggi, una paese che ancora non era meta di turismo e di cure idroponiche, come oggi.Un’educazione tradizionale fatta di poche cose: la preghiera, la Messa ogni domenica, il timor di Dio, il lavoro quotidiano e il rispetto per gli altri. E a nessuno dei figli viene in mente di non attenersi a queste regole semplici e fondamentali. Questo orientamento di onestà e di impegno resterà sempre impresso nella mente e nel cuore del ragazzo Vittorio, e poi del novizio, del giovane sacerdote e del vescovo. I valori ideali della famiglia cristiana che, molto più tardi, il Pastore dei Marsi proporrà negli scritti e nelle omelie (quali l'amore e la fedeltà coniugale, la semplicità di vita e di rapporti umani, la fraternità, l'ospitalità, la solidarietà, l'accoglienza, il sacrificio, il servizio...) affondano le radici nell'humus della sua famiglia. Aveva sette anni quando il padre gli affida un gregge di un centinaio di pecore e tre cani pastori. Con il cuginetto di nome Biagio trascorre i giorni e le notti più in campagna e in montagna che in casa. I due ragazzi, sugli altipiani di Arcinazzo non si annoiano. Hanno i cani per giocare e la loro fantasia per inventare le situazioni più fantastiche. Quando arrivana la polenta di mamma Mariuccia, allora davvero era una festa grande. Sulla via che da Fiuggi porta ad Arcinazzo, c’è il convento dei cappuccini, e in famiglia Vittorio aveva uno zio paterno, padre Elzeario, cappuccino. E’ a lui che il ragazzo si rivolge per confidargli il suo desiderio di diventare fratte cappuccino come lui. Era il 24 febbraio 1930, quando parte per il Seminario serafico di Veroli. Papà Andrea ha il cuore in gola e mamma Mariuccia non dice niente, ma nel segreto prega per questo figlio che va lontano. Due anni dopo, il 3 ottobre 1930, Vittorio veste l’abito dei Cappuccini nel convento viterbese della Palanzana e cambia il nome di battesimo in fr. Biagio da Fiuggi. La vita del convento fatta di discipline, orari e forme penitenziali non gli costa un gran che, perché in famiglia era stato abituato a questo stile di vita; fin dai verdi anni aveva dovuto ripartire il tempo della giornata tra scuola e lavoro. Adesso, in convento, tutto risulta facile; il frate cappuccino viene fuori senza fatica: un frate interiormente robusto, con una solida spina dorsale, allenato agli esercizi ruvidi della vita, al duro lavoro e al sacrificio; un frate ricco di sensibilità e di attenzioni verso le esigenze altrui. Compiuti gli studi filosofici e teologici, viene ordinato sacerdote a Viterbo nel 1940. Padre Biagio è di indole forte e docile, di buon cuore, incline per dono di natura a farsi accanto all’altro, soprattutto quando vi sono pene e pesi di vita da condividere. Ti si presenta sempre col sorriso sulle labbra e con un volto rassicurante, anche quando le spine e i cardi della sofferenza fisica e morale lo pungeranno in forma acuta; sempre uguale di umore, felice di servire il Signore e il prossimo, pronto a qualsiasi sacrificio. Un cuore grande che resta facilmente affascinato dagli alti ideali: ama leggere le biografie dei Santi per proporli come modelli riusciti a se e agli altri. E’ anche ben consapevole dei suoi limiti e difetti, perciò con modestia e semplicità gradisce incontrare e confrontarsi con gli altri, consultare, ascoltare, imparare, correggersi. Scorrendo l’abbondante letteratura che lo riguarda si ha la netta impressione di trovarci alle prese con una persona che ha articolato la vita sul coraggio, sulla speranza, sull'impegno di vivere ogni giorno nella fedeltà ai doveri e sul vivo desiderio di offrire una testimonianza di vita semplice e operosa. Si colgono facilmente le linee operative del suo programma personale: non fermarsi alle parole, ma passare decisamente dalle parole ai fatti; fatti intesi non come attivismo, bensì come gesti concreti da compiere quale risposta fedele ai doveri quotidiani.
A un intimo amico, un giorno confidò: "Ho impostato la mia vita sull'impegno arduo, perciò non devo aver paura di ideali che vale la pena spenderci con generosità le mie energie". Appena eletto vescovo imprime un ritmo accelerato alla sua attività pastorale nell'ardente aspirazione di donarsi generosamente ad ogni richiesta da qualunque parte giunga. Il suo servizio pastorale si concretizza soprattutto in numerose opere di carità espresse nei confronti dei più bisognosi: alcolisti, tossicodipendenti, portatori di handicap, anziani, carcerati, malati di Aids. Ecco come lui stesso si esprime al riguardo: "Oggi, urge che diventiamo generosamente prossimi di ogni uomo e rendiamo servizi con i fatti, a colui che ci passa accanto: vecchio da tutti abbandonato, lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, emigrante o fanciullo nato da unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato che non ha commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza, rievocando le parole del Signore: "Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto a me".

Il frate cappuccino

Padre Biagio ha amato sempre la sua vocazione e l’Ordine cappuccino, però non si è mai chiuso elusivamente in questo contesto religioso; al contrario, ha aperto la sua mente e il suo cuore all'incontro e al dialogo fraterno con tutte le altre componenti francescane. Per lui era sempre una vera festa incontrare un francescano e, in ogni convento, dovunque si trovava, si sentiva subito come a casa sua. Quando è stato eletto vescovo, non ha lasciato il suo Ordine religioso e la sua Provincia romana, ma ha semplicemente "cambiato stanza" per rimanere quel frate cappuccino che era stato fin dal suo ingresso nell'Istituto; frate semplice, cordiale, sempre contento, pronto al sacrificio, disponibile a collaborare e ad assumersi gravose responsabilità. Lasciandosi andare in una confidenza, diceva: "Proprio perché il Signore mi ama e mi ha chiamato a seguirlo e, nonostante le mie molte lacune, ha fiducia in me, si sente autorizzato ad esigere sempre molto da me". Padre Biagio con i genitori e il fratello padre Ubaldo. Ben consapevole di aver fatto dono di tutto se stesso al Signore, gli risultava logico che questo dono non fosse misurato o calibrato, ma fosse generoso sempre, in momenti facili e difficili. Le ardue esigenze evangeliche sono rimaste per lui come una delle dimostrazioni più efficaci dell'amore di Dio nei suoi confronti. A questo frate di certo non fa difetto una visione positiva della vita! La gioia, l'ottimismo e la speranza hanno contrassegnato la sua intera vicenda terrena. La conferma inequivocabile si ha dai frequenti riferimenti al "canto" e alla "gioia”' nei suoi scritti. Eccone alcuni titoli: "Anche tu, come i Santi, canta la gioia", "La calma sorgente di gioia", "Cristo nostra gioia". Addirittura dedica a questo argomento una lettera pastorale dal titolo "Cantiamo la gioia". In un interessante articolo esalta la virtù della semplicità e tratteggia l'identikit della persona semplice: "Il semplice è dovunque e con chiunque sempre modesto; è cosciente dei suoi limiti e vive un' incantevole trasparenza di vita e limpidezza di spirito; è schietto, sincero, ricco di cordialità, di benevolenza e di cortesia. Stabilisce rapporti umani sulla linea di una forte carica umana, e non si smarrisce se questi dovessero farsi difficili o dovesse emergere qualche durezza o incomprensione o sfiducia; non si mostra ferito per qualche offesa, non si nutre di pettegolezzo, non punta il dito su eventuali debolezze di un fratello. E' semplice chi è riuscito a trovare un principio unificatore della propria esistenza, un punto di riferimento verso cui orientare tutto. Questo centro è Dio; bisogna fare tutto per lui, altrimenti è inutile il nostro affannarsi quotidiano". Si deve convenire che da vero frate minore, Padre Biagio ha recepito l'insegnamento di san Francesco in merito a questa virtù, alla quale il santo di Assisi teneva tanto. Il serafico Padre indicò le virtù di alcuni suoi frati, desiderando che fossero praticate nel suo Ordine. Anche nella vita e negli scritti di Padre Biagio si riscontra la virtù della semplicità: egli procede in modo lineare, chiaro e trasparente; si ritrova un lui il biblico cuore sincero, cordiale, modesto e sempre bene armonizzato con una vita fatta di coraggio, di impegno e di dedizione generosa.

Il frate e il vescovo del popolo

Padre Biagio inoltre ha saputo trovare il tempo e l'occasione per essere e rimanere Il frate e il vescovo del popolo come insegna la tradizione cappuccina. Non solo essere disponibile per chiunque vuole incontrarlo, ma concretamente desidera stare accanto agli ultimi per ascoltarli, aiutarli e così farli sentire meno soli; ama raggiungere a piedi la cattedrale per avere l'occasione di incontrare gente e scambiare una parola con lo spazzino, con il rivenditore ambulante, con gli addetti ai lavori stradali, con i vecchi e i bambini, con le mamme e i papà, con tutti coloro che incontra durante l'arco della giornata.
A tutti dà importanza e offre attento ascolto. Questo stile di vita pastorale semplice e concreto, intenzionalmente e non, cerca di affidarlo anche ai suoi scritti. Così, per esempio, raccomanda ai religiosi e ai sacerdoti "lo spirito di servizio", privilegiando gli ultimi e i più bisognosi; affida ai sacerdoti l'impegno di essere maestri "di tutte le categorie e di tutti i momenti, facendosi carico delle esigenze di ciascuno e adattandosi a colui che viene a bussare alla porta del cuore". "E' sempre urgente, è indispensabile fermarsi, da buon samaritano, dinanzi a un fratello che soffre, qualunque siano i motivi. Così si esprime in una "Lettera pastorale alla diocesi" -. Fermarsi però non significa curiosare, bensì rendersi sensibili, attenti e disponibili al fratello che soffre.

Buon samaritano è colui che tende la mano ad ogni bisognoso per aiutarlo, consolarlo". Non appena giunge alla diocesi di Avezzano dà subito vita a molte iniziative dirette a imprimere uno straordinario dinamismo pastorale ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli più impegnati. Si serve volentieri dei mezzi di comunicazione di massa per arrivare a tutti; stampa: articoli, lettere pastorali, messaggi di vita ecc; radio: con la rubrica "Buongiorno Abruzzo" svolge la catechesi per adulti; televisione locale: conduce la rubrica "Il tuo popolo". Non lascia di intentato nulla per arrivare a un più alto numero di fedeli. Scrive al riguardo A. Razzano: "Dai suoi scritti emerge con chiarezza la prima ed essenziale sollicitudo dell'evangelizzazione, del Padre che nutre il suo popolo con la Parola di Dio, mai adulterata, mai populista, mai demagogica, sempre fedele al deposito ricevuto e custodito con amore". Il 13 marzo 1990, Padre Biagio celebra il suo 50° di sacerdozio. Alla concelebrazione eucaristica in cattedrale sono presenti molti fedeli, numerosi confratelli cappuccini, alcuni Presuli e anche l'arcivescovo Vincenzo Fagiolo, il quale nell'omelia dice tra l'altro: "La fausta ricorrenza del 50° di ordinazione sacerdotale del padre e pastore di questa vetusta ed insigne diocesi dei Marsi ci aiuta - in linea con quanto fin qui abbiamo ricordato - ad approfondire l'insegnamento degli apostoli come ce lo ha ripresentato il Concilio Vaticano II°, e ci sollecita a vivere quell’effettiva ed affettiva comunione con il capo della chiesa locale che per volontà di Cristo Gesù è stata affidata alla sua cura pastorale.

Sull'esempio di Cristo diaconus omnium factus, con l'insegnamento, l'azione liturgica e la guida pastorale monsignor Terrinoni, mai cedendo a mondane tentazioni, si è adoperato quotidianamente a far conservare e a far vivere quelle sane tradizioni di religiosità popolare e di fede cristiana che per secoli hanno caratterizzato positivamente, anche nel campo sociale e civile, la gente dei Marsi. E' stato e tuttora rimane il maestro autentico di fede cristiana". La lunga e laboriosa "giornata" terrena di Padre Biagio si chiude il 15 aprile 1996. II suo tramonto è intrecciato di preghiere e sofferenze per la malferma salute. Nei 6 anni di dimora nell'infermeria a Roma-Centocelle, egli va lentamente, sia pur dolorosamente, distaccandosi dagli impegni pastorali per dedicarsi esclusivamente alla preghiera, quale essenziale "lavoro" dell'apostolato che continua. Monsignor Remigio Ragonesi, vicegerente di Roma, ha presieduto la concelebrazione eucaristica del funerale e ha concluso l'omelia con queste parole: "Tra pochi giorni Padre Biagio avrebbe celebrato il 25° di episcopato, ma il sommo ed eterno Pastore anziché lasciargli condividere una festa che, certamente sarebbe risultata calorosa e affettuosa, ben altro gli ha preparato: la corona che non marcisce riservata ai suoi operai fedeli e ai suoi pastori zelanti".

Padre Enrico D’Artibale